Questa particolarissima arte di disporre i fiori detta Ikebana, cominciò a diffondersi in Giappone già nel VI secolo dopo Cristo.
La parola, formata da Ike, che significa “vivere” o “dare la vita” e Bana, che significa “fiore” e quindi il risultato è “fiori viventi”.
Nel 400 l’Ikebana diventò una composizione molto complessa e subì l’influenza del Buddismo esoteico. Il Buddismo Zen creò poi il Chabana, la cui semplicità ascetica rispecchiava l’essenzialità del pensiero dei monaci Zen. Nel 700 nacque lo stile Shoka ma nacque anche la ricerca di una espressione più naturale detta Nageire. Oggi abbiamo due stili fondamentali: il Moribana (composizione in vasi bassi) e Heika o Nageire (composizione in vasi alti).
Sin dall’antichità, lo schema fondamentale della composizione è stato il triangolo e i motivi che conducono a questa forma geometrica sono molteplici: è innanzitutto la struttura elementare perfetta per la disposizione dei fiori poiché il triangolo è la spontanea simmetria esistente in natura, una montagna è uguale a un triangolo come anche un albero è uguale a un triangolo. Ecco che in documenti antichi o dipinti o stoffe, troviamo tre fiori di loto disposti in un triangolo scaleno, poiché il loto è il simbolo di Budda.
Nel XVI secolo, il Buddismo Zen, introdotto dalla Cina nel XIII secolo, raggiunse il suo massimo sviluppo. e nacque il Chabana (o fiori del the), semplice omaggio al creato che si rendeva nella parte più intima e raccolta della casa: la stanza dedicata alla cerimonia del the. Il Chabana è ispirato ad una ricerca del semplice e dell’essenziale, è momento integrante della cerimonia del the ed è oggetto di osservanza esatta e rituale.
Dalla profonda sensibilità Zen nasce la composizione impressionistica del Chabana; composizione piccola, essenziale, a volte composta da un solo fiore, ma che racchiude l’espressione di un determinato momento e sentimento.
Con la nascita dello Shoka si verificarono due fenomeni importantissimi:
1) la nascita di nuove scuole e la decadenza del monopolio detenuto per parecchi secoli dalla scuola Ikenobo nell’insegnamento dell’Ikebana;
2) l’Ikebana cominciò ad essere praticato dalle donne che era stata invece prerogativa esclusiva di nobili, samurai e monaci.
Le varie forme e scuole durarono fino a quando, nell’ultimo quarto del XIX secolo, il Giappone uscì dall’isolamento durato per parecchi secoli e aprì i porti alle potenze occidentali. In Giappone entrarono così nuove idee, produzioni, invenzioni ed anche nuovi fiori, molti dei quali totalmente sconosciuti ai giapponesi; fiori con poche foglie, dagli steli più corti e da colori più intensi. Questi nuovi fiori sollecitarono la fantasia e il gusto dei maestri di ikebana suggerendo loro nuove possibilità creative. Questi fiori però non potevano essere utilizzati nelle forme tradizionali poiché, fino ad allora, le composizioni erano sempre state fatte in vasi alti.
Unshin Ohara, insegnante della scuola Ikenobo, fu il primo a creare una forma nuova di ikebana detta Moribana: composizione in vasi bassi, che letteralmente significa “fiori ammassati”. Creò dunque vasi bassi, probabilmente ispirandosi a quelli usati per i Bonsai e anche dei sostegni per mantenere i fiori nella posizione voluta, oltre a fondare la scuola che prese il suo nome.
Nella scuola Ohara si insegnano due fondamentali tipi di ikebana: il Moribana e il Nageire. Questi due tipi di ikebana si dividono in cinque stili, nati dall’osservazione della natura. Guardando un albero si vedono dei rami diritti, obliqui, a cascata e partendo quindi da questo punto d’osservazione si ha lo stile “Alto”, nel quale viene usato materiale che cresce verticalmente; dicasi lo stesso per lo stile “Obliquo”; lo stile a “Cascata” nel quale vengono impiegati i rampicanti; lo stile “Celestiale” la cui caratteristica è una linea verticale molto accentuata; lo stile a “Contrasto” dove vengono impiegati rami e arbusti.

COME CONSERVARE I FIORI
I fiori recisi inseriti in un ikebana devono dare l’impressione di qualcosa che continui a vivere. Esistono vari sistemi per conservare più a lungo i fiori: il metodo “Mizugiri”  è quello di alzare l’acqua cercando di sollecitarne la penetrazione nei vasi portatori di linfa. Si taglia lo stelo del fiore direttamente in acqua facendola fluire immediatamente nello stelo appena reciso. Tagliando lo stelo fuori dall’acqua, penetrerà aria che formerà una intercapedine impedendo la successiva penetrazione dell’acqua stessa. Questo trattamento può essere applicato a tutti i tipi di fiori, foglie e rami.
C’è poi il trattamento termico usato soprattutto per i fiori che secernono liquido come le stelle di Natale ad esempio. Una volta protetto il fiore con della carta velina, si può bruciare lo stelo direttamente sulla fiamma fino a che lo stelo risulti carbonizzato (crisantemo, dalia, geranio, rosa) o si può immergere lo stelo in acqua bollente per un paio di minuti (dalia, stella di Natale, ciclamino, girasole, giacinto e tutti i rami fioriti).
Per il trattamento salino invece, si aggiunge del sale da cucina nell’acqua o si strofina sulla superficie recisa (begonia, calla, ciclamino, camelia), lo stesso dicasi usando lo zucchero. Questo trattamento facilita per osmosi, l’entrata dell’acqua nei tubicini.
Avendo un giardino è preferibile raccogliere i fiori nelle ore più fresche della giornata: primo mattino o tardo pomeriggio e prima di utilizzare i fiori lasciarli un paio d’ore immersi nell’acqua.