Fabbricare una campana è una vera opera d’arte. Il materiale utilizzato è il bronzo: una lega del 78% di rame e del 22% di stagno, ma la “voce” di ogni campana non è vincolata ad alcuna legge speciale. Chi progetta e fonde la campana sa per intuito ed esperienza che per ottenere le note musicali bisogna procedere in un determinato modo, e difficilmente si sbaglia.
Nessun fabbricante di campane ha una regola fissa o procede secondo un manuale scritto. C’è un misterioso senso di corrispondenza che si genera fra campana e fabbricante, fra metallo e il suo forgiatore, in modo che le curve e le grandezze, la lunghezza e la larghezza, lo spessore del labbro inferiore, la consistenza della cupola superiore, sono fatte in un modo più che in un altro, e il suono sarà quello che deve essere!
La più antica fabbrica italiana di campane è ad Agnone (IS) e risale al 1300 circa.
La campana nasce come una vera e propria opera d’arte: si comincia con il fare il modello che è diviso in due parti: l’interno, detto “nocciolo” e l’altro superiore esterno, che cadendo sul primo proprio come una campana, forma il vuoto che dovrà essere riempito dal bronzo.
In questa seconda parte si trova la parte ornamentale a “cera persa”, opera di un vero e proprio scultore.
Nella fusione il modello viene interrato presso il forno e si immette il metallo a 1100 gradi di calore. Solo dopo svariato tempo si potranno rompere le forme per vedere il risultato. Il metallo deve raffreddare poco a poco e senza sbalzi di temperatura. Dal suo raffreddamento può cambiare la “voce” della campana.
Ma la campana non è ancora terminata. Appena liberata del suo involucro, deve essere pulita: i bassorilievi vanno puliti con spazzole d’acciaio e poi a colpi di scalpello e di lima. L’interno deve essere riguardato e vi si deve attaccare il battaglio. La campana va poi appesa su appositi sostegni per permetterne l’uso e la libera espansione del suono.
Sunto tratto da articolo pubblicato su “La domenica del Corriere” Anno XXXIX n. 30, 25 luglio 1937 – Anno XV