In bocca al lupo: Di questa frase si servivano inizialmente i soli cacciatori per augurare buona caccia ai loro colleghi, non essendo ritenuto propizio l’augurio di “buona fortuna”. L’origine è attribuita al premio che i vari governi conferivano a chi uccidesse un lupo. Così l’augurio d’incontrare uno di questi animali, sparargli magari nella bocca aperta, ammazzarlo e riscuotere il premio, era il miglior augurio che si potesse fare a un cacciatore.

L’aritmetica non è un’opinione: Fu data notorietà a questa frase dal deputato di Catanzaro Bernardino Grimaldi che cessò dalla carica di ministro nel novembre del 1879. Ma a lui fu suggerita dal senatore Filippo Mariotti che l’aveva già detta in un discorso pronunciato a Serra San Quirico (Fabriano – Ancona).

L’appetito vien mangiando: Traduzione del motto francese (L’appètit vient en mangeant); la soif s’en va en bouvant (la sete se ne va bevendo). Luigi Petito, celebre Pulcinella, diceva di sua moglie: “La Petito viene mangiando”.

Siedi e favella: Cioè: siedi e parla, siedi e racconta. Sono parole che Didone, regina d’Egitto, rivolge a Jarba nel dramma Didone abbandonata di Pietro Metastasio (atto 1°, scena 5^). La frase, notissima, è ripetuta in senso faceto. Meno nota è forse l’altra: Lascia pria ch’io favelli e poi rispondi, detta da Jarba a Didone nella stessa scena.

Omnia mea mecum porto: Tutto quanto è mio, porto con me. Fu la risposta che il filosofo Biante, uno dei sette savi della Grecia, diede ai suoi concittadini di Priene, i quali, incalzati dall’esercito di Ciro, e in procinto di abbandonare la città recando con sé le loro ricchezze, osservavano con stupore che il filosofo non faceva alcun preparativo di partenza. Egli voleva far loro comprendere che la vera ricchezza sta tutta nella saggezza. E l’uomo saggio non ha fagotti da portare. Il motto è stato applicato anche alla chiocciola e alla tartaruga, che portano con sé la casa e la roba.

Non capire un’acca: In questa “acca” è da vedere, quasi certamente, la parola “accidente” (non capire un accidente) troncata a metà e modificata quindi nella vocale finale per facile assimilazione al nome della lettera h. Non sono poche infatti le nostre locuzioni, specialmente idiomatiche,  nelle quali, a una parola sconveniente o ritenuta tale, è sostituita un’altra parola che cominci come quella e perciò si lasci intendere facilmente. Acciderba, accidempoli, accipicchia, sono tutte forme eufemiche di accidente che, fra l’altro, fu considerata anche di malo augurio.

Lettera morta: “Questa legge è lettera morta”, cioè esiste sulla carta ma non viene applicata. Per estensione: “Le sue promesse sono restate lettera morta”.

Le dolenti note: Parole contenute in una terzina dantesca (“Ora incomincian le dolenti note a farmisi sentire…”). Sono le grida dolorose che insieme con molto pianto giungono fino al Poeta nel secondo cerchio dell’Inferno che accoglie i lussuriosi. Oggi l’espressione è usata scherzosamente, tanto che alcuni, per “dolenti note”, giocando sul doppio senso, arrivano ad intendere “le note (cioè le fatture) da pagare”.

In saecula saeculorum: Nei secoli dei secoli. Così finivano molte prose liturgiche della Chiesa in latino. La frase usata nel discorso comune per notare la lunga durata di una cosa.

I casi sono due: Nel 1917, sul nostro fronte di guerra, circolò in gran numero di esemplari una curiosa sequenza di “condizioni”, ciascuna delle quali si biforcava in un dilemma (… se lo trovi, i casi sono due: o lui impicca te, o tu impicchi lui…). Non se ne conosce l’autore. Fu resa popolare da Petrolini. E’ rimasta nell’uso per porre facetamente le due corna di un dilemma: o… o… (in latino: aut… aut…; ne abbiamo già parlato).

Come l’asino fra i suoni: E’ un modo proverbiale che significa comportarsi in modo ottuso e inetto di fronte a cose raffinate, che restano estranee e incomprensibili.

Arma a doppio taglio: Cioè argomento che può colpire l’avversario ma anche chi lo usa.

Addio, mia bella, addio: Con questo verso inizia il famoso “Inno del volontario”. Fu composto dal fiorentino Carlo Alberto Bosi la sera del 20 marzo 1848, in un caffè di Firenze, in occasione della partenza per la guerra d’indipendenza del primo battaglione di volontari fiorentini. Il testo originale così diceva: Io vengo a dirti addio, L’armata se ne va; Se non andassi anch’io, Sarebbe una viltà.