Scusi, ha da accendere? Quante volte abbiamo rivolto questa domanda e altrettante volte ci è stata rivolta? Oggi siamo pronti a sfoderare accendini di ogni sorta, ma un tempo era il cerino a farla da padrone in fatto di fuoco!
Cerini, prosperi, fiammiferi, minerva… quanti sigari, pipe e sigarette hanno acceso… mi torna in mente un episodio accaduto quando mio figlio era ancora un bambino. Scherzando, alludemmo ad accendere un qualcosa prendendo un cerino… mi guardò per un attimo e mi chiese: “mamma, cos’è il cerino?” Lì per lì, passai sopra a quella innocente domanda… poi mi fermai un attimo a riflettere… “ha ragione, lui non sa cos’è un cerino, ha visto solo e sempre l’accendino…”.
Siamo talmente abituati ormai all’uso quotidiano di alcuni oggetti che diamo per scontato che tutti sappiano cosa siano e come siano nati, anzi per molti oggetti appartenuti al passato, ci siamo dimenticati persino della loro esistenza. Queste pittoresche scatolette di cartone oggi sono diventate oggetto ricercatissimo per molti collezionisti, ma come nasce il cerino?
Certo, se pensiamo che i nostri antenati dovevano faticare non poco per procurarsi del fuoco… Fino al XV secolo, per ottenere la fiamma si sfregava con forza sopra una pietra accanto alle foglie secche, un bastoncino di zolfo. Poi si adottò la pietra focaia per molto tempo e verso la fine del XVIII secolo si ebbero le prime applicazioni del fosforo mescolato con lo zolfo (miscela però che risultò spesso pericolosa a causa di scoppi improvvisi).
Il primo tentativo di “fiammifero” comparve a Vienna nel 1812, ma questi bastoncini, dopo essere stati inzuppati in una pasta di zolfo e altre sostanze chimiche, dovevano passare in un bagno di acido solforico concentrato da portarsi dietro in una boccetta, con il rischio di provocare incendi non voluti.
La necessità di sviluppare con maggior sicurezza un fiammifero a sfregamento fu motivo di ricerca e d’ingegno da parte di alcuni inventori.
Nel 1835, uno studente universitario, l’ungherese Giovanni Irinyi, osservando la reazione dello zolfo con il perossido di piombo, sostituì il fosforo con lo zolfo e dopo svariati esperimenti, ottenne il risultato voluto. Ma Irinyi era arrivato secondo all’italiano Sansone Valobra, il quale, già dal 1828, lo aveva preceduto nella fabbricazione del fiammifero a sfregamento.
Valobra, nativo di Fossano, era un fervente patriota e carbonaro che per sottrarsi alle persecuzioni politiche fu costretto a fuggire e a trasferirsi a Napoli. Era uno studioso di chimica che cercò di applicare la scienza all’industria e rivolgendo la sua attenzione al fosforo, dopo svariati tentativi, trovò un sistema pratico per l’accensione dei fiammiferi. Compose una miscela di fosforo, clorato e gomma che  applicò all’estremità di piccoli bastoncini di legno. Il fiammifero era dunque nato e verso la fine del 1828 a Napoli esisteva già una fabbrica.
I primi rudimentali fiammiferi furono ben presto perfezionati e ancor più rapida fu la diffusione di questa nuova invenzione. Alla Corte dei Borboni una scatola veniva venduta al prezzo di un ducato.
Intanto, fuori dall’Italia, molti si arrogarono il merito di questa invenzione, come il tedesco Krammener, il farmacista inglese Walker, l’austriaco Romer e il polacco Schoevetter.
La creazione del cerino fu attribuita a Merckel e Lavaresse, mentre anche questo merito  fu dello stesso Valobra, il quale nel frattempo aveva perfezionato la sua industria e dopo pochi anni l’invenzione del fiammifero, mise in circolazione il fiammifero-cerino. Era il 1835 e Valobra esportava già all’estero il nuovo prodotto. L’inventore del fiammifero e del cerino morì ultra ottantenne nel 1883 e, anche se la sua invenzione non lo rese celebre, la sua scoperta ha invece contribuito al cammino della civiltà.