“Dopo aver suonato Chopin, mi sento come se avessi pianto su peccati
che non ho mai commesso e mi fossi afflitto per tragedie
che non ho mai vissuto”
(Oscar Wilde)

La prima esperienza che l’uomo primitivo fece del suono, fu ascoltare quelli esistenti in natura: il vento che fischiava fra le rocce o faceva frusciare le foglie degli alberi; l’acqua che sgorgava dalle sorgenti o il rumore della pioggia; il boato dei tuoni, ma anche il ruggito di un animale feroce. Di conseguenza,  la necessità di sopravvivenza rese più acuta la sua capacità di ascolto. Dall’ascolto passò alla riproduzione dei suoni e lo fece con la voce e con gli oggetti ad uso quotidiano. Ecco che l’arco per le frecce diventa una corda vibrante, le canne usate per le capanne diventano flauti, legnetti battuti tra loro e conchiglie legate intorno alle caviglie scandiscono le danze.

Allora ed in seguito, ma come oggi del resto, la musica rivestì un’importanza particolare nella vita sociale dell’uomo. Accompagnava feste e riti e nell’antico Egitto schiave cantanti e suonatrici allietavano la vita intima delle classi superiori. Altra grande civiltà che fece della musica un’arte fu quella greca, la stessa parola musica (in greco Musiké) voleva dire “le arti delle muse”. Le Muse erano nove divinità che proteggevano le manifestazioni culturali. Il canto veniva accompagnato dalla cetra o dall’aulos. Nella civiltà romana la musica era praticata cantando inni conviviali e religiosi e quando questa entrò in contatto con quella greca, ne restò subito affascinata e musici greci vennero chiamati nelle principali sedi della romanità.

Più tardi, quando la religione cristiana diventò ufficiale nei territori dell’Impero Romano, la Chiesa avvertì il bisogno di fissare riti e canti: fino ad allora le preghiere erano state scritte sui libri ma le musiche venivano trasmesse oralmente da una generazione all’altra. Un canto si imparava da chi lo conosceva già ed era difficile conservarlo sempre identico col passare del tempo. Fu nei primi anni del settimo secolo che l’allora papa Gregorio Magno (papa dal 590 al 604) intervenne stabilendo la versione ufficiale dei canti cristiani e il loro insieme prese il nome di canto gregoriano.

Con il passare del tempo però i riti si fecero sempre più complessi e numerosi e con loro crebbe anche il numero dei canti; nacque quindi l’esigenza di poter trascrivere i suoni per poterli meglio ricordare. Sopra le parole vennero disegnati dei simboli speciali detti nèumi. Era un sistema molto elementare che permetteva con questa strana “punteggiatura” di suggerire il saliscendi del canto. Più tardi, per trascrivere con maggiore esattezza la musica, s’inventò il rigo musicale, rigo che fu poi perfezionato dal monaco benedettino Guido d’Arezzo (992-1050), il quale si pose il problema di come far cantare melodie a chi non le aveva mai ascoltate prima. Egli nominò ogni nota con una sillaba speciale e altro non sono che le note che conosciamo tutti: Do (originariamente Ut), Re, Mi, Fa, Sol, La, Si (quest’ultima nota si aggiunse nel XVII secolo).

Nel Medioevo però, accanto alla musica religiosa,  fiorì una notevole produzione di musica profana interpretata soprattutto da cantori e menestrelli che giravano per i paesi. Nelle corti signorili invece le canzoni profane erano composte: parole e musica venivano eseguite da cantori d’amore e maestri cantori.

Il Duecento vide il fiorire dello sviluppo economico e l’Europa visse un periodo di grande prosperità. Il denaro cominciò a trasformare la vita pubblica, si fondarono banche e si costruirono le grandi cattedrali gotiche. Anche la Chiesa cambiò: nacquero nuovi ordini religiosi che però fecero del denaro il loro nemico principale. Secondo Francesco d’Assisi la povertà e la carità erano le uniche ricchezze che rendevano credibile la Chiesa. Lo sviluppo economico favorì quello culturale e si fondarono le prime università. La letteratura abbandonò il latino e si scrissero i primi testi in volgare: francese, inglese, tedesco e italiano.

Tornando al canto, le melodie intonate dai monaci o dai fedeli nei conventi e nelle chiese erano solitamente eseguite a una voce sola. Si passò poi a due voci e poi tre o quattro voci, quindi dal canto omofònico si passò a quello polifònico. Fu soprattutto a Parigi che si sviluppò la polifonia, presso la scuola musicale di Notre-Dame tra il 1160 e il 1220. A questa scuola verrà dato il nome più tardi di Ars antiqua (arte antica) e la caratteristica di queste musiche fu la grande vitalità ritmica ispirata alle danze popolari.

Nel Trecento, all’Ars antiqua si contrappose l’Ars Nova, ovvero “arte nuova”, dove quello che stava più a cuore al musicista era l’armonia dell’insieme. Il genere sacro maggiormente coltivato in questo secolo prese il nome di mottetto, mentre tra il profano si ebbe la ballata, il rondò e il madrigale.

Il XV secolo vide nascere alcune grandi potenze europee: Francia, Spagna, Inghilterra, dove i loro sovrani unificano il Paese consolidando il loro potere. Con il benessere si arricchirono anche le città; in Italia i palazzi signorili erano frequentati da poeti, pittori, musicisti e letterati e crebbe l’interesse per le arti e le scienze: fu l’era dell’Umanesimo. In quest’epoca le melodie dei canti diventarono più armoniose e cantabili.

Nel Cinquecento si affermò la figura del musicista di professione (fino ad allora era inesistente) e una grande innovazione cambiò la vita musicale: venne inventata la stampa musicale. Attraverso questo mezzo si potevano finalmente far conoscere le musiche da un paese all’altro e non fu più soltanto la musica sacra ad essere scritta ma anche quella profana. Nelle chiese protestanti i fedeli cantavano una musica molto semplice detta il corale e nei paesi cattolici si raffinava il canto polifonico a cappella (dall’indicazione del luogo assegnato ai cantori -la cappella della chiesa- e dall’insieme degli stessi cantori). Nacquero inoltre, presso la scuola musicale di Venezia, le prime grandi composizioni strumentali per organo e strumenti a fiato.

Il Seicento vide la nascita di un nuovo orientamento e a Firenze nacque il melodramma, cioè un teatro cantato e accompagnato dagli strumenti musicali. Il personaggio recitava cantando con l’accompagnamento degli strumenti e il primo esperimento del nuovo genere venne chiamato Recitar cantando. Fu in questo periodo che si aprirono i primi teatri pubblici per la rappresentazione dei melodrammi. Intanto in Francia, accanto ai grandi drammi tragici in prosa si affiancò il balletto di corte, suonato, cantato e danzato, che mostrava la sontuosità e la potenza della nazione.

I musicisti però avvertirono il bisogno di arricchire l’espressione musicale al di là del canto, ossia provandoci con gli strumenti.  E’ l’epoca del virtuosismo strumentale e alcuni strumenti musicali come il violino, l’organo e altri strumenti a fiato e a tastiera, conobbero un’evoluzione tecnica molto significativa. Una straordinaria scuola di liutai si sviluppò in Italia e tra i costruttori di strumenti a corda rimasti ancora oggi insuperati spiccavano  nomi come Antonio Stradivari e Andrea Amati. Si cominciò a creare musiche concepite per le caratteristiche tecniche di ogni strumento e quello che conquistò maggiore importanza fu il violino.

Si fissarono i generi musicali a seconda degli strumenti usati e nacque la sonata a tre (due violini accompagnati da uno strumento basso); la sonata da camera (alternanza di danze) e la sonata da chiesa (alternanza di adagio e allegro). Con il nome di concerto si distinse il concerto orchestrale che era di tipo più semplice, dove nessuno strumento emergeva particolarmente rispetto ad un altro e il concerto grosso nel quale si alternavano l’intera orchestra e un gruppo di solisti.

Uno degli strumenti che venne perfezionato in questo periodo fu l’organo e il repertorio composto per questo particolare strumento si arricchì notevolmente. Un grande compositore del Seicento fu Girolamo Frescobaldi (1583-1643) che operava soprattutto a Roma presso gli Aldobrandini.

Nel Settecento le orchestre si ingrandirono e il repertorio divenne più complesso, richiedendo più esecutori professionisti. Gli orfanotrofi già esistenti in alcune città d’Italia come Napoli e Palermo, divennero scuole dove i giovani imparavano a cantare e suonare: furono questi i primi conservatori frequentati anche da ragazzi di famiglie paganti.
Crebbero le opere teatrali e ai musicisti e cantanti si affiancarono nuove professioni: scenografi,  costumisti, macchinisti. Si affermò in questo periodo la figura del divo e per amministrare la sua attività apparve la figura dell’impresario.

Accanto alle opere serie cominciarono ad apparire quelle buffe, dette così per la loro natura comica. Nacquero dapprima come intermezzo nei melodrammi e poi rappresentate per conto loro. Le opere buffe erano rivolte a un pubblico popolare e i mezzi a disposizione erano molto scarsi: pochi strumenti, cantanti senza molte pretese e i temi erano costituiti dalla rappresentazione della vita quotidiana. Tutte queste caratteristiche dettarono un nuovo linguaggio musicale. L’iniziatore di questo nuovo genere fu Giovan Battista Pergolesi (1710-1736) con l’opera “La serva padrona” al quale seguirono altri importanti autori come Niccolò Piccinni, Giovanni Paisiello e Domenico Cimarosa.

Il Settecento fu dunque il secolo di maggior fioritura nel campo della musica strumentale e il linguaggio musicale si rinnovò completamente. L’Italia visse un grande periodo e la cultura musicale italiana si diffuse all’estero con successo. A Venezia si affermò una importante scuola violinistica (il violino era lo strumento più importante del momento), che vide il suo massimo rappresentante in Antonio Vivaldi (1678-1741) al quale furono commissionate molte musiche da eseguire. Vivaldi scrisse ben 450  concerti per vari strumenti; il più famoso fu quello dedicato alle “Quattro stagioni”.

Fu in questo periodo che al già noto ed importante strumento musicale quale il violino, si affiancò il clavicembalo, la cui arte fu sviluppata da Domenico Scarlatti (1685-1757) e Baldassarre Galuppi (1706-1785), mentre in Francia un importante clavicembalista fu Françoise Couperin (1668-1733), detto “Il Grande”. Il compositore Johann Sebastian Bach (1685-1750) si distinse per le sue grandiose fughe per organo o clavicembalo. Altra figura dominante del Settecento fu Georg Friedrich Händel (1685-1759) la cui musica fu considerata più “mondana”, proprio come lo fu la sua vita e il genere divenne uno stile che prese il nome di stile galante.

La cultura dominante del Settecento fu l’Illuminismo e i musicisti iniziarono a comporre in maniera più composta e ordinata. Nacquero altre forme musicali quali il rondò, la forma-romanza e il minuetto e i generi strumentali più diffusi furono la sinfonia, il concerto solistico e la sonata. Lo strumento che si impose in quest’epoca fu il pianoforte che prese di fatto il sopravvento sul clavicembalo.

Il compositore che visse fra il Settecento e l’Ottocento fu Ludwig Van Beethoven (1770-1827) la cui notevole produzione musicale contò nove sinfonie per orchestra, sonate per pianoforte, concerti per orchestra e musica da camera.

Nel primo Ottocento, epoca della cultura del  Romanticismo, gli artisti sentirono il bisogno di sentirsi liberi da schemi codificati. La musica fu l’arte che mise maggiormente in contatto e nel migliore dei modi l’umanità con i misteri dell’universo. Il pianoforte fu lo strumento che meglio poteva consentire a un musicista di esprimere il proprio stato d’animo. Si affermò il virtuosismo strumentale soprattutto per violino e pianoforte. Il virtuoso era quel musicista che compiva delle vere e proprie acrobazie con il proprio strumento e l’iniziatore di questa “moda” fu il violinista Niccolò Paganini (1782-1840).  Si composero inoltre in questo periodo numerose opere e musiche che descrivevano situazioni o raccontavano storie.

La musica strumentale ebbe in questo periodo grande successo soprattutto all’estero, mentre in Italia fu il melodramma a conquistare il pubblico. Si costruirono molti teatri e le opere non venivano mai rappresentate per oltre due anni di seguito tanto era alto il numero di quelle prodotte e i molti compositori dell’epoca producevano sempre nuove spartiture operando liberamente nei paesi europei. Gli spettacoli dell’opera erano di due tipi: opera seria e opera comica. In Francia nacque  il genere grand-opéra, caratterizzato da pompose scenografie e scene corali, mentre in Italia il pubblico preferiva un tipo di opera più serio, meno pomposo. Fu proprio in questo contesto che si affermarono artisti come Vincenzo Bellini (1801-1835) e Gaetano Donizetti (1797-1848), quest’ultimo fu autore di capolavori del genere di teatro musicale dell’opera comica dove gli argomenti trattati erano storie d’imbrogli a lieto fine. Il massimo autore dell’opera seria fu invece Giuseppe Verdi (1813-1901).
Un altro grande protagonista dell’opera dell’Ottocento fu Richard Wagner (1813-1883) ma il suo ideale di opera fu di arte totale, ovvero uno spettacolo dove la musica, le parole ma anche la scenografia, doveva essere per mano di una persona sola.

Nella seconda metà dell’Ottocento, le aspirazioni dei popoli alla libertà, li portarono ad affermare i valori riferiti alle proprie nazioni e ogni paese cominciò ad ispirarsi alla musica popolare locale, dando origine ad alcune forme tipiche di folklore.
Dopo il 1870, i popoli cominciarono ad essere stanchi delle guerre nazionali e in Francia nacque un genere musicale più frivolo e leggero: l’operetta. In questo genere i dialoghi erano per metà cantati e per metà parlati con musiche più allegre ed orecchiabili. Era l’epoca detta “Belle époque” e il più famoso autore del nuovo genere fu Jacques Offenbach (1819-1880) che compose più di cento operette.

Il primo Novecento vide la nascita del Futurismo, fondato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti e al nuovo movimento di artisti parteciparono anche musicisti e compositori, ma alle belle melodie furono contrapposti rumori e dure tonalità. In questo periodo si distinse Jgor Stravinskij (1182-1971) che dopo musiche composte nei primi anni ispirate alla tradizione e al folklore russo, trasferitosi in Occidente, riportò in vita lo stile settecentesco più geometrico e razionale e quando fu rappresentata la sua “Saga della primavera” a Parigi nel 1913 il pubblicò reagì fischiando. I francesi apprezzavano più la musica riservata di Debussy e fu Maurice Ravel (1875-1937) che ne continuò la tradizione. Ravel aveva una passione per i meccanismi ad ingranaggi che aveva ereditato dal padre ingegnere e trasferì questa passione nelle sue musiche che avevano dei ritmi meccanici ben scanditi, come accadde nel suo “Bolero”.

Nella metà degli anni cinquanta, al termine della seconda guerra mondiale, si cominciò ad affermare una nuova cultura di massa favorita dai grandi mezzi di comunicazione (apparecchi radiofonici, giradischi) facilitando la divulgazione della musica leggera fino  alle varie forme del rock. In America ebbe grande successo il genere del musical al quale si dedicarono grandi autori come Leonard Bernstein e cantanti come Bing Crosby e Frank Sinatra.

Oggi molti compositori sono impegnati nella ricerca e sperimentazione. Sofisticate strumentazioni elettroniche permettono la creazione di nuovi suoni e melodie. Altri compositori creano per la televisione e il cinema; la colonna sonora in un film è da candidatura all’Oscar e, in questo contesto, il percorso nella storia della musica si conclude rivolgendo un sentito apprezzamento all’opera svolta dal Maestro Ennio Morricone.